Tagliare l'assegno pensionistico mensile ai più longevi. L'istituto di Previdenza Sociale rende noto un dossier in cui analizza il coefficiente di trasformazione delle pensioni e anticipa l'ipotesi di "correggere uno squilibrio del sistema": "uguale per tutti è ingiusto". Quindi propone un ricalcolo da effettuarsi in base all’impiego prima del ritiro e alla speranza di vita. Stando all'analisi dell'Inps ci sono categorie di lavoratori che una volta raggiunta l’età della pensione vivono mediamente più a lungo di altre. Così come i pensionati che vivono in determinate regioni. Ma il numero che trasforma in assegno i contributi versati è uguale per tutti.
TAGLIARE L'ASSEGNO PENSIONISTICO AI PIU' LONGEVI
L'istituto rivela sulle pagine de "Il Messaggero" la sua tesi. E parte da una serie di esempi. Uno di questi è la gestione dell’Inpdai e del Fondo Volo, che pagano rispettivamente le pensioni a dirigenti e piloti. Chi si trova all’interno di queste gestioni in media riceve un emolumento per quasi vent’anni. Più precisamente, per 19 anni e 7 mesi. Un pensionato che invece si trova nel fondo dei lavoratori dipendenti la riceve in media per due anni in meno. E le differenze diventano più marcate investigando sulle classi di reddito. Un ex lavoratore del primo quintile, ovvero della classe più bassa di reddito, vive in media cinque anni in meno rispetto a un pilota d’aereo: 16 anni dopo la pensione il primo, più di 20 il secondo. Un’altra variabile importante sembra essere il territorio.
TAGLIARE L'ASSEGNO PENSIONISTICO AI PIU' LONGEVI, L'ANALISI PER REGIONI
Il dossier dell'Istituto rivela che per i maschi la longevità massima è nelle Marche e in Umbria. Mentre per le donne è il Trentino Alto Adige. La speranza di vita è invece più bassa in Campania e in Sicilia. E anche qui, secondo l’Inps, va a crearsi un’ingiustizia sociale. Perché una donna trentina vive in media 22 anni e mezzo dopo il pensionamento, una siciliana poco meno di 19. Secondo l’Inps «la presenza di differenze significative è problematica dal punto di vista dell’equità e anche della solidarietà». E questo perché «l’attuale sistema contributivo applica il montante a un tasso di trasformazione indifferenziato». E non tenendo conto dei tempi di vita e della professione precedente fa risultare «una prestazione meno che equa a tutto vantaggio dei più abbienti».
LA SOLUZIONE INDICATA DALL'ISTITUTO
Alla luce dei dati elaborati, l'Inps indica la soluzione: tenere conto nel coefficiente di trasformazione anche di queste variabili. Ovvero la speranza di vita, il luogo di residenza e l’occupazione precedente. Ma sarà difficile ottenerla. Perché la differenziazione in base al luogo o all’attività di lavoro è piuttosto complicata. E in ogni caso rimarrebbe la disparità di partenza nella maggiore speranza di vita per le donne rispetto agli uomini. Mentre i sindacati hanno chiesto di eliminare ogni ricalcolo in base alla speranza di vita. Proprio perché l’impatto è negativo per gli assegni.