“Non ci sono riforme possibili per la situazione demografica del Paese”. L'affermazione del Ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti è il macigno che sta per essere piazzato al tavolo ministeriale convocato per riprendere i lavori di concertazione della riforma pensionistica. Il nuovo incontro convocato dal Governo con le parti sociali porta all'ordine del giorno la riforma fiscale, l'inflazione, la sicurezza sul lavoro e la produttività. Un elenco di questioni che indeboliscono la priorità del tema riforma pensionistica, come era invece accaduto nel primo incontro del 13 febbraio scorso. POCHE POSSIBILITA' DI SUPERARE LA LEGGE FORNERO
A oltre tre mesi di distanza, il "nodo pensioni" torna ad impegnare il dibattito, ma alla luce dei dati e dei conti sulla spesa emersi nelle ultime settimane, difficilmente gli interlocutori si aspettano stravolgimenti o la definizione di una vera riforma pensionistica.
L'accordo sul da farsi potrebbe arrivare presumibilmente prima di settembre, quando il Governo dovrà valutare le risorse da stanziare con la nota di aggiornamento al Def. RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI E RETRIBUZIONI AL PALO, L'ALLARME INPS SUL CROLLO DEL SISTEMA
Tra le centinaia di dati e numeri incrociati da ricerche e studi accademici, emerge con scalpore l'allarme lanciato dallo stesso presidente Inps Tridico. Il rappresentante dell'istituto di Previdenza ha ampiamente illustrato il rischio che si possa creare un maxi buco nella casse dell’INPS a causa delle dinamiche inflazionistiche, che hanno portato ad una massiccia rivalutazione delle pensioni, mentre le retribuzioni sono rimaste al palo. Così anche i contributi versati dalla popolazione attiva, che sconta anche la perdita di valore della propria busta paga e quindi un calo del suo potere d’acquisto. Tridico ha sottolineato che se oggi ci sono circa 1,4 lavoratori per pensionato, già nel 2029 si scenderà a 1,3 con il serio rischio di arrivare a 1 nel 2050. RIFORMA PENSIONISTICA AL PALO, SI PUNTA ALL'AUMENTO DEGLI STIPENDI E ALLA RIDUZIONE DELLE TASSE
Il Documento di Economia e Finanza 2023 approvato il 28 aprile scorso traccia un profilo chiaro: per il triennio 2024-2026 si punta alla riduzione delle tasse e al rilancio degli investimenti e della competitività del sistema economico, si introducono misure di sostegno alla crescita e al benessere dei cittadini e delle imprese. Nel capitolo pensioni, il DEF 2023 contiene una sostanziale bocciatura di Quota 100, ritenuta responsabile della crescita esponenziale negli anni della spesa pensionistica. Quota 100 (62 anni di età e 38 anni di contributi) ha esaurito la sua sperimentazione triennale il 31 dicembre 2021 ma è di fatto ancora oggi accessibile a tutti i lavoratori che a quella data non avevano presentato la domanda, pur essendo in possesso dei requisiti richiesti. Per quota 103 si presume quest’anno un costo di 572 milioni di euro ed una platea di potenziali beneficiari di circa 40 mila lavoratori. Il DEF 2023 non anticipa misure concrete in grado di far sperare in una riforma strutturale delle pensioni ma preannuncia piuttosto la permanenza del sistema contributivo come strada da seguire anche negli anni a venire. Qui si fa strada, tra le ipotesi al vaglio dell’Esecutivo, la proroga al 2024 di quota 103, anche in veste rivisitata, e lo slittamento di quota 41, considerata troppo onerosa e dunque inapplicabile nell’attuale panorama pensionistico italiano. NUOVI AUMENTI DELLE PENSIONI MINIME PER IL 2024, APPROVATA LA RISOLUZIONE AL DEF CHE IMPEGNA IL GOVERNO
Il 27 aprile 2023, la Camera ha approvato la risoluzione al DEF 2023 n. 6-00030: il documento impegna il Governo ad introdurre nel 2024 nuovi aumenti alle pensioni minime. Alla luce del miglioramento del quadro economico internazionale e la riduzione dei prezzi dell’energia, il Parlamento ha chiesto al Governo di impegnarsi a valutare gli spazi per un possibile aumento delle pensioni minime già dalla Manovra di Bilancio 2024 che si dovrebbe aggiungere a quello già previsto dalla Legge di Bilancio 2023 ed ancora in fase di attuazione definitiva. IL PARLAMENTO EUROPEO VUOLE DIMEZZARE LE PENSIONI D'ORO AI DEPUTATI PER NON FARLE PAGARE AI CONTRIBUENTI
Il Parlamento europeo è al lavoro per dimezzare le pensioni. Non si parla di tutti gli assegni, ma di quelli che spettano alle oltre 900 persone iscritte al regime pensionistico precedente rispetto a quello attuale. Il sistema, nato nel 1990, è stato bloccato nel 2009, impedendo nuove iscrizioni e lanciando un diverso modello previdenziale. Tuttavia, i pagamenti delle pensione accumulate nei precedenti vent'anni circa rischiano di pesare sulle casse europee.
Senza una soluzione, i fondi stanziati per le pensioni "di lusso" si esaurirebbero nel 2025 e il buco da riempire per portarle avanti sarebbe di 310 milioni di euro. Infatti, al momento ci sono a disposizione circa 55 milioni di euro, mentre i pagamenti previsti ne richiederebbero 363. Il motivo è che il sistema, sulla carta, dovrebbe procedere con i pagamenti fino al 2074. In quel caso, il Parlamento per compensare la mancanza di fondi dovrebbe ricorrere al bilancio comunitario, che è finanziato dai contribuenti dell'Ue.