Il dibattito sulle pensioni e sulla tanto attesa riforma pensionistica cattura l’attenzione non solo dei
Patronati, delle parti sociali e delle organizzazioni, ma condiziona l’intera impalcatura dei servizi e del
welfare attorno a cui si dovrà modellare la società di domani. L’attuale quadro socio economico del Paese è
connotato da un’ampia forbice demografica tra popolazione anziana e bambini, e un mercato del lavoro ad
alta frammentazione, con l’avanzata di una platea di lavoratori composta da partite iva e precari. Senza
tutele e senza garanzie, i nuovi lavoratori sono i prossimi destinatari di una politica d’urto che possa
intervenire sulle storture del mercato del lavoro, e blindare una sopravvivenza dignitosa in età
pensionabile. Fuori dalle aule parlamentari si fa la politica, si traducono le tensioni collettive e si offrono
risposte. Per questo abbiamo interpellato Michele Raitano, Professore Ordinario in Politica Economica e
Direttore del Dipartimento di Economia e Diritto dell’Università La Sapienza di Roma.
Professor Raitano, la tanto attesa riforma pensionistica è ormai slittata a data da destinarsi. Ma resta
aperta la partita sulle misure su cui appostate le risorse per la prossima legge di bilancio. A che punto
siamo?
“Il dibattito sulle pensioni è in corso da anni, e nonostante l’alternanza dei governi, resta ad un puro livello
politico, che non considera gli obiettivi principali: come mandare in pensione i lavoratori con il conteggio
minimo, e garantire una retribuzione minima dignitosa per chi in pensione già c’è. Si tratta di tematiche
rilevanti nel dibattito pubblico, che non riguardano soltanto i lavori parlamentari, ma si scontrano anche
con le mutate condizioni socio economiche della popolazione. Consentire l’accesso anticipato a chi rileva
difficoltà a continuare a lavorare, e innalzare le pensioni minime per portarle ad un livello di “dignità”
significa adottare non solo misure a breve termine, ma anche ragionare su orizzonti temporali più lunghi”.
Qual è la vera difficoltà che si incontra?
"Stabilire l’età pensionabile. Si sono alzati i requisiti per accedere alla pensione, così come sono cambiate le
condizioni di lavoro. Ad oggi non c’è quella flessibilità che consente o lascia immaginare forme non costose
di interventi. Al momento si ragiona su Quota 100, Quota 102, 103, ovvero su forme di anticipo
pensionistico che riguardano l’età delle persone ma non la loro concreta difficoltà nel continuare a
lavorare”.
Cosa propone?
"Chi ha molti anni di contribuzione non dovrebbe continuare a fare lavori gravosi. Si potrebbe ragionare su
un meccanismo di uscita anticipata mirata, da rafforzare in caso di lavori usuranti. La mia ipotesi è “Opzione
tutti”, ovvero proporre una riduzione delle quote contributive sulle pensioni, calibrate sulle reali esigenze
dei lavoratori, e che non gravino sul bilancio pubblico”.
E’ stata già avanzata questa soluzione nelle aule parlamentari?
“Questa è una soluzione che è stata proposta anche in ambito sindacale: se si consente l’uscita anticipata,
si avrà un costo inferiore e meno spese per il futuro. Il problema è che la misura non incontra sempre
parere favorevole tra i cittadini, perché non tutti sono disposti a perdere l’importo. Questa è una strada che
percorre solo chi ha realmente bisogno di collocarsi a riposo. Anche dall’Unione Europea ci sarebbe il disco
verde, in quanto questo criterio risponde alla sostenibilità del debito pubblico sul lungo periodo”.
Opzione Donna così come concertata dalla attuale Legge di Bilancio non ha registrato particolare successo.Al contrario ha tagliato fuori una importante platea di ipotetiche beneficiarie. Lei immagina un restyling?
“Su Opzione donna sono stati introdotti dei paletti, ma in realtà non aveva un costo eccessivo per il bilancio
pubblico e poteva consentire una vera flessibilità. L’altro nodo è rappresentato dalle pensioni minime”.
Continui.
“I soggetti coinvolti sono persone anziane che sono andate in pensione con il sistema retributivo. L’assegno
è basso perché hanno lavorato poco, dichiarato poco o hanno avuto salari bassi. Spesso è accaduto che non
sono stati versati contributi, ed è naturale che bisogna immaginare un miglioramento delle loro condizioni
di vita, ma bisogna anche investire in un sistema redistributivo di più ampio respiro. Infatti l’assegno di
inclusione resta in piedi per una fascia di popolazione. Ad ogni modo bisogna equilibrare il sistema per
evitare di avvantaggiare chi ha lavorato poco”.
Come se ne esce?
“Ci vogliono gli aiuti alle pensioni basse, ma le risorse devono essere destinate anche ad altre categorie.
Attualmente si cancella il Reddito di Cittadinanza ma si alza a 700 euro l’assegno delle pensioni minime. Le
risorse vanno date a chi “merita” un sostegno con misure cucite su misura”.
Lei è a favore di una spesa assistenziale o previdenziale?
“La distinzione tra le due non ha molta logica economica: stabilire se dirottare le risorse per la previdenza o
per l’assistenza è un dibattito che non ha ragione di esistere. Si deve invece programmare una spesa per
tutelare le persone, sia in base alla loro carriera lavorativa, e sia con misure di assistenza e connesse alle
condizioni socio economiche. Si tratta di due strade complementari e separare le voci non mi trova
d’accordo. Bisogna lavorare per introdurre sistemi di welfare sul lavoro, e completare il sostegno per chi
non ha risorse sufficienti”.
Il nodo su cui si interrogano le parti sociali è il lavoro povero. Una buona fetta di lavoratori oggi è composta
da liberi professionisti, partite iva, per non parlare di lavoro nero e sottopagato. Questi lavoratori di oggi
saranno i pensionati di domani. Basterà un fondo complementare?
“Abbiamo l’esigenza di tutelare quelli che oggi chiamiamo working poor, i fragili e i precari. Sono la
risultante delle dinamiche del lavoro degli ultimi 25 anni, connotato da salari bassi, part time, senza contare
quanti lavorano in nero, senza tutele né garanzie. Le stime ci dicono che gli andamenti delle carriere delle
persone sono discontinue, e che ci sarà una quota altissima di persone che avrà una pensione minima in
quanto ha condotto una vita lavorativa irrilevante. Le dinamiche ormai pluridecennali del mercato del
lavoro potrebbero generare criticità sul finanziamento contributivo degli schemi di protezione sociale. In
particolare, in ambito pensionistico, queste dinamiche possono comportare future criticità sia per la
sostenibilità del finanziamento allo schema a ripartizione sia, soprattutto, per l’adeguatezza delle
prestazioni attese”.
Per introdurre un paracadute ai nuovi lavoratori, sarebbe opportuno riequilibrare il mercato del lavoro e
azzerare quelle distorsioni che hanno prodotto l’attuale condizione.
“Affrontare il problema del mercato del lavoro è una premessa fondamentale che incide sul lungo periodo,
e contestualmente bisogna intervenire per introdurre un sistema pensionistico per tutti. Della pensione di
garanzia ne ha parlato già Tommaso Nannicini nel precedente Governo. Le proposte di leggi circolano tra gli
accademici e tra i circoli politici: basta introdurre una garanzia di importo sulle pensioni, sulla scorta della
attività lavorativa”.
In questo modo si potrebbe generare anche una maggiore fiducia sociale e accompagnare un incremento
alla natalità?
“Misure di questo genere hanno un effetto di lungo periodo. Il Reddito di Cittadinanza ad esempio lo ha
avuto. Ma in generale misure di sicurezza e tutela potrebbero condizionare e generare ricadute positive. Il
welfare deve garantire, non individualizzare i rischi”.