Oltre un terzo dei 61 priincipali contratti collettivi nazionali prevede minimi retributivi al di sotto dei 9 euro l'ora. Tre milioni di lavoratori hanno una retribuzione lorda inferiore ai 9 euro l'ora. La Fondazione dei Consulòenti per il Lavoro che è stata presieduta dalla attuale Ministra del Lavoro licenzia un report sulla contrattazione collettiva nazionale. Dallo studio emerge che oltre un terzo dei 61 principali contratti collettivi nazionali firmati da Cgil, Cisl e Uil prevede minimi retributivi sotto i 9 euro all’ora. I consulenti del lavoro considerano nel calcolo anche i ratei di tredicesima ed eventuale quattordicesima e il Tfr. Ovvero elementi esclusi dalla soglia prevista nella proposta di legge di Pd, M5s, Avs e Azione.
CROLLA LA FUNZIONE DI TUTELA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
I dati illustrati confliggono con l' opposizione alla proposta di legge da parte dell'esecutivo di Governo sul salario minimo legale. Nella dialettica espressa dalla maggioranza, è stato spesso sottolineato che un minimo legale potesse essere “inutile e forse dannoso” ai fini del recupero del potere d’acquisto delle buste paga. I dati diffusi dalla Fondazione dimostrano che la contrattazione collettiva non ha più la funzione di tutela. Decine di Ccnl firmati dalle sigle comparativamente più rappresentative hanno retribuzioni orarie di partenza decisamente basse: 22 sui 61 selezionati, applicati in totale a 2 milioni di lavoratori, sono sotto i 9 euro. E il minimo effettivo in busta è ben più basso, visto che si tratta di cifre “gonfiate” dai ratei di mensilità aggiuntiva e di Tfr.
QUANTO VALGONO I CCNL IN VIGORE OGGI
Il contratto collettivo di Uneba per i dipendenti del settore socio-assistenziale (comunità di accoglienza, rsa, centri per persone con disabilità), che copre oltre 160mila lavoratori, ha un minimo di 8,6 euro tutto compreso, per una cifra mensile di poco più di 1.100 euro. Si ferma a 8,9 euro la retribuzione minima oraria del contratto delle aziende di gestione aeroportuale, così come quella degli autoferrotranvieri del trasporto pubblico locale, dei dipendenti di società dei servizi ambientali e di quelle delle pmi della comunicazione e dell’informatica. Per i lavoratori delle cooperative del settore socio sanitario (in tutto oltre 300mila) e dei servizi di pulizia e servizi integrati (altrettanti), così come nella grafica e nel settore pelli, si scende a 8,8, mentre nel tessile abbigliamento il minimo è 8,7. In cooperative e consorzi agricoli la base è di 8,4 euro l’ora. Centri benessere e di estetica o piercing offrono, in base al ccnl firmato da Cna e Confartigianato con i confederali, 8,3 euro lordi all’ora. Gli addetti all’industria delle calzature non vanno oltre i 7,9 euro di minimo. Il ccnl unico dell’industria armatoriale, quello del vetro e quello degli operai agricoli e florovivaisti sono ancora più avari: 7,6 ,7,1 e 7 euro rispettivamente.
LA CASSAZIONE DICHIARA ANTICOSTITUZIONALI I CONTRATTI DA FAME
I 38 contratti che prevedono soglie minime superiori ai 9 euro, finirebbero probabilmente in buona parte per ricadere sotto la soglia se nei 9 euro lordi non si contassero anche il Tfr, la tredicesima e la quattordicesima. Il presupposto poi smentito, per cui i 9 euro della proposta di opposizione fossero da intendersi come Trattamento economico complessivo, ha mostrato che i livelli di inquadramento più bassi dei contratti della logistica e trasporto merci, della distribuzione moderna organizzata, del turismo e dei pubblici esercizi hanno minimi tabellari orari inferiori a 9 euro.
SALARIO MINIMO, DIBATTITO APERTO
Le opposizioni sottolineano la necessità di introdurre un minimo legale per contrastare il lavoro povero. Il dibattito riguarda il livello a cui eventualmente fissare il minimo, le eventuali eccezioni settoriali o per età e la reale opportunità che lo Stato riconosca un aiuto pubblico alle imprese in vista dell’adeguamento al minimo. Poi insistono sul tappeto nodi importanti, come il part time involontario e i contratti pirata, in apparenza del tutto minoritari ma solo perché i datori possono comunicare all’Inps l’adozione del contratto principale e poi, nei fatti, applicarne al lavoratore un altro, peggiorativo. Con il risultato che l’effettività dei minimi contrattuali è assai relativa.