Nella Legge di Bilancio per il 2023 il Governo ha inserito numerose disposizioni in ambito pensionistico, relative sia alle regole per il pensionamento anticipato, sia agli importi delle pensioni in essere. Relativamente al primo aspetto, i principali provvedimenti hanno riguardato: i) l’introduzione, per il solo 2023, di “Quota 103”, che consente di ritirarsi anticipatamente a chi entro il 31 dicembre 2023 raggiunga i 62 anni di età con almeno 41 di contributi; ii) il trasferimento esentasse in busta paga dei contributi a carico dei lavoratori che raggiungono i requisiti previsti per “Quota 103” e proseguono l’attività lavorativa; iii) il restringimento dei requisiti di accesso ad “Opzione Donna”, l’istituto che consente alle donne di ritirarsi anticipatamente in cambio del ricalcolo interamente contributivo della pensione. Relativamente al secondo aspetto, per il 2023-2024 è stato rivisto “al ribasso” il meccanismo di indicizzazione delle pensioni che risulta ora molto penalizzante per le prestazioni di valore medio-alto, mentre si è introdotta una “super-rivalutazione” delle pensioni minime, per aumentarne il valore reale.
Tutte queste misure hanno un tratto in comune: sono interventi temporanei, mentre il piano di revisione strutturale del sistema pensionistico è stato rimandato a una possibile discussione – che stenta a decollare – con le parti sociali. Da queste misure temporanee si possono però intuire le linee guida su cui il Governo potrebbe imperniare una possibile prossima riforma.
In primo luogo, “Quota 103” – così come le precedenti “Quota 100” e “Quota 102” e lo stesso bonus contributivo – si muove nel solco di interventi limitati nella platea di possibili beneficiari e, a causa di un requisito contributivo molto elevato (41 anni), generalmente soddisfatto dai lavoratori meno svantaggiati, non tutela chi incontra maggiori difficoltà a continuare l’attività ad età avanzate. In secondo luogo, il restringimento dei requisiti di accesso a “Opzione Donna” sembra discendere da una mancata comprensione dei meccanismi della formula contributiva, la cui applicazione non comporta aggravi al bilancio pubblico intertemporale. Infine, la modifica della regola di indicizzazione comporta tagli relativi molto forti anche a prestazioni di valore assoluto non particolarmente elevato. Questa forte azione redistributiva nei confronti delle sole pensioni risulta particolarmente incoerente con altre misure introdotte o auspicate dall’attuale Governo, come l’estensione della flat tax o il rifiuto pregiudiziale a qualsiasi forma di imposizione patrimoniale.
Alla strategia del Governo in ambito pensionistico è invece finora mancata una visione di largo respiro che porti ad affrontare i principali nodi del sistema previdenziale italiano, ovvero il livello elevato e rigido dell’età pensionabile, in larga parte indipendente dalle condizioni di lavoro e salute degli anziani, e le prospettive pensionistiche che rischiano di essere inadeguate per molti fra i lavoratori delle generazioni che vedranno calcolata la pensione interamente con il contributivo. Per affrontare questi problemi, da un lato andrebbero previsti strumenti che offrano effettiva flessibilità di scelta riguardo al momento in cui ci si può ritirare, dall’altro occorrerebbero misure capaci di tutelare chi è destinato a ricevere un trattamento pensionistico di importo molto modesto a causa di carriere lavorative precarie e con basse retribuzioni.
Riguardo al primo aspetto, sfruttando le potenzialità offerte dal passaggio al contributivo si dovrebbe permettere, a partire da una certa età (63 o 64 anni), di ritirarsi subendo una riduzione della quota retributiva della pensione che compensi, in modo attuarialmente equo, il vantaggio della sua percezione per un numero maggiore di anni (ferme restando le misure, come l’APE sociale, che offrono ulteriori tutele a gruppi di individui particolarmente svantaggiati). Se ben definita, una misura di questo tipo offrirebbe un’opportunità a tutti, senza generare problemi per il bilancio pubblico nel lungo periodo. Riguardo al secondo aspetto, andrebbe introdotta una “pensione di garanzia” che, senza stravolgere le logiche contributive, garantisca tutela a chi, maggiormente esposto a instabilità occupazionale e retribuzioni limitate, rischi di ritrovarsi da anziano in condizioni di disagio economico, pur essendo stato a lungo sul mercato del lavoro.
Nei prossimi mesi vedremo se il Governo intenderà muoversi verso queste direzioni o continuerà a muoversi verso misure di piccolo cabotaggio a vantaggio di specifiche constituencies elettorali.