Itinerari Previdenziali e Cida hanno presentato a Roma l’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate “La svalutazione delle pensioni in Italia”, uno studio che analizza gli effetti sulle rendite dei meccanismi di rivalutazione delle pensioni applicati negli ultimi trent’anni. Al centro dello studio, le novità introdotte dalle più recenti manovre finanziarie, in particolare la Legge di Bilancio 2024 del governo Meloni per il triennio 2024-2026.
Dall'analisi licenziata è emerso che per i pensionati con trattamenti sopra i 2.500 euro lordi (meno di 2mila euro il netto) la perdita legata alla rivalutazione ridotta è quantificabile nei prossimi 10 anni in almeno 13mila euro. L'analisi sottolinea che il valore è destinato a salire progressivamente più aumenta l’assegno pensionistico, che arriva fino ai 115mila per i percettori di assegni oltre i 10mila euro lordi (6mila circa il netto).
La penalizzazione appena citata riguarda oltre 3,5 milioni di pensionati, ovvero una platea pari a poco più di un quinto dei pensionati (il 21,9%), con redditi oltre 4 volte il trattamento minimo – attualmente fissato in 616,67 euro. Si tratta degli stessi che pagano il 62% dell’Irpef sulle pensioni, dopo aver versato molti contributi nella loro vita attiva.
TAGLIO DELLE RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI, CIDA: IL SISTEMA PUNISCE CHI HA DATO DI PIU'
Stefano Cuzzilla presidente di Cida ha commentato che «In trent’anni le pensioni medio-alte hanno perso oltre un quarto del loro potere d’acquisto. È il simbolo di un sistema che punisce chi ha dato di più, mortifica i contribuenti più fedeli e incrina il legame di responsabilità tra generazioni. Le pensioni non sono un privilegio, sono salario differito, il frutto di una vita di lavoro e tasse pagate. Sono anche il più grande patto intergenerazionale che un Paese possa stipulare: chi lavora oggi sostiene chi ha lavorato ieri, nella certezza che domani il proprio impegno sarà riconosciuto. Chiediamo una scelta politica chiara: regole stabili, certezza del diritto e rispetto del merito».
Cida sostene che al contrario, chi ha versato pochi o nessun contributo è stato pienamente tutelato dall’inflazione. Sostenere i più fragili è un dovere, ma diventa un’ingiustizia quando la solidarietà ricade sempre sugli stessi mentre l’evasione resta impunita.
PER ITINERARI PREVIDENZIALI LA PEREQUAZIONE SFAVOREVOLE E' APPLICATA SU INTERO REDDITO PENSIONISTICO
Per il Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, la perequazione sfavorevole è stata applicata sull’intero reddito pensionistico e non per scaglioni. Considerate le mancate indicizzazioni patite dal 2012 al 2022, i trattamenti pensionistici oltre le 10 volte il minimo hanno perso rispetto a un’inflazione totale dell’11,6% circa 9 punti percentuali. Svalutazione cui si aggiunge quella del triennio 2023-2025, ancora più forte per l’effetto combinato del boom dell’inflazione e dei meccanismi di perequazione introdotti dal governo Meloni: in questo caso, le perdite ammontano a circa il 12% e, sommate alle precedenti, determinano una svalutazione delle pensioni di oltre il 21% nell’arco di 14 anni.
Ciò significa che in questo periodo di tempo una pensione da 10mila euro lordi (circa 6.000 netti) ha perso quasi 178mila euro, mentre una pensione da 5.500 ero lordi mensili (circa 3.400 euro netti) ha subito una perdita pari a circa 96mila euro.
Infine, secondo gli autori dello studio, la partita si riapre dopo che il Tribunale di Trento lo scorso 30 giugno ha rinviato alla Corte Costituzionale la valutazione sulla legittimità del meccanismo di perequazione automatica all’inflazione introdotto dalle leggi di Bilancio 2023 e 2024 a fasce o blocchi e non a scaglioni applicando l’aliquota di rivalutazione ridotta all’intero importo della pensione.